Onde d'urto Catania
Fisioterapia Catania
Gliimpulsi pressori prodotti dalle onde d'urto sono capaci di indurre, a livello delle zone colpite:
Tali effetti sono solo in parte dovuti ad un meccanismo di azione diretto (distruzione meccanica degli aggregati inorganici come sostenuto dagli urologi o comunque impatto pressorio sulle strutture biologiche), dal momento che sono soprattutto mediati da alcuni fenomeni fisici conseguenti al passaggio dell’onda nel tessuto colpito.
Allorquando una onde d'urto attraversa un fluido genera molteplici differenze pressorie responsabili della formazione di bolle di gas e del fenomeno della "cavitazione"; infatti, la ridotta pressione che si produce sul lato interno della semionda consente un rapido passaggio dell’acqua alla fase gassosa con formazione di una vera e propria bolla di dimensioni variabili a seconda dell’energia sprigionata. Una successiva onde d'urto colpisce la bolla così formata dando luogo ad una violenta implosione che forma un getto d’acqua, il cosiddetto “jet stream”, che è notevolmente accelerato dal campo di bassa pressione esistente all’interno della bolla (velocità di 2700-3000 km/h). Tale getto d’acqua direzionale, colpendo i tessuti viciniori, determina microlesioni la cui entità è in funzione del numero degli impulsi e della loro energia (Delius et al., 1998).
La membrana cellulare è la più sensibile e sono sufficienti livelli d’energia pari a 0,2 mj/ mm2 per alterarne le proprietà di permeabilità . Più resistenti invece sono il citoscheletro, i mitocondri e la membrana nucleare nei quali le alterazioni si cominciano a notare per valori d’energia pari a 0,5 mj/ mm2.
Queste lesioni sono responsabili della catena degli eventi biologici desiderati che inducono, a livello ultrastrutturale, diversi tipi di risposta secondo la qualità del tessuto su cui sono applicati.
Studi sperimentali recenti (Russo et al., 2001) hanno dimostrato che le alte energie sprigionate dai jet streams cavitazionali, generati nei tessuti attraversati dalle O.U., producono alterazioni biomolecolari tali da spiegare le molteplici risposte biologiche-tissutali che si osservano in corso di trattamento e vale a dire quelle angiogenetiche, citotossiche e neuromodulanti. Da questi studi sembra che il punto d’innesco principale sia rappresentato dalla molecola di nitrossido d’azoto (NO), molecola assai instabile, che fisiologicamente è prodotta in condizioni di stress dalle cosiddette sintetasi: essa rappresenta il vero mediatore chimico nelle O.U. ed è considerata la molecola starter della neoangiogenesi come anche della risposta antinfiammatoria, neuromodulante, citotossica (per le più alte concentrazioni) e probabilmente anche di una risposta immunitaria . E’ stato dimostrato, in laboratorio, che l’energia sprigionata dai jet streams è in grado di portare a rottura talune molecole, quali la L-Arginina e l’acqua ossigenata presente nelle aree d’infiammazione; dal riassemblamento molecolare derivante sarebbe possibile giungere direttamente alla produzione di NO, saltando quindi il fisiologico meccanismo enzimatico a cascata. Altre indagini sperimentali (Russo et al., 2000) hanno dimostrato in vivo il fenomeno della cavitazione mediante la registrazione, durante la formazione delle bolle di cavitazione, di due distinti spikes, di marcata intensità , legata a due differenti momenti di compressione e rarefazione massima (bubble oscillation); gli AA concludono che tale evenienza dipende non solo dalla energia della onda d'urto ma anche dalla concentrazione di acqua nei tessuti, dal mezzo di propagazione e dall’intervallo di tempo tra le singole onde d'urto.
Proprio per i suddetti motivi, la risposta al trattamento con onde d'urto è diversa a seconda dei tessuti colpiti.
Nel tessuto osseo è stata osservata una reazione di tipo osteogenetico ed una di tipo vascolare; nei tessuti molli, invece, oltre ad una risposta vascolare si verifica anche un effetto
antinfiammatorio ed antalgico.
La risposta osteogenetica è stata dimostrata nelle aree di pseudoartrosi dove è possibile ottenere la rottura di cristalli di idrossiapatite e la liberazione di microcristalli che determina un’espansione del numero dei nuclei d’aggregazione calcica e quindi una riattivazione ed un ampliamento della risposta osteogenetica. Infatti, la pseudoartrosi riconosce tra l’altro, come fattore etiopatogenetico, la formazione di cristalli di idrossiapatite lungo la rima di frattura che impedisce l’avanzamento delle gemme vascolari provenienti dai capi di frattura provocando, di conseguenza, un ridotto apporto ematico che non permette al callo fibroso di trasformarsi in tessuto osseo. Le onde d'urto inducono, da una parte, la frammentazione dei cristalli di idrossiapatite provocando una riattivazione e, addirittura, un ampliamento della risposta osteogenetica attraverso la liberazione di fattori di crescita attivi sull’osteogenesi (BMP) e, dall’altra, l’innesco di un’attività neoangiogenetica conseguente alla perforazione della membrana cellulare dell’endotelio capillare ed alla migrazione di cellule endoteliali nello spazio interstiziale con rilascio di E.S.A.F.(Endothelial Stimulating Angiogenetic Factor).
Recenti studi dimostrano che l’azione delle onde d'urto, da un punto di vista istopatologico, si tradurrebbe nell’induzione di fratture trabecolari a livello della lesione con conseguenti
fenomeni microemorragici e formazione di trombi; ciò renderebbe la lesione più recettiva allo stimolo dei fattori piastrinici.
Le piastrine infatti, se attivate, rilasciano numerosi fattori di crescita capaci di stimolare la replicazione delle cellule di origine mesenchimale come fibroblasti, osteoblasti e cellule endoteliali esercitando, peraltro, un’azione chemiotattica verso macrofagi, monociti e polimorfonucleati.
Si è ipotizzato che, nel sito di lesione ossea, si verifichi un rilascio iniziale di PDGF (Plateled derived growth factor), TGF-b (trasforming growth factor-beta), EGF (epidermal growth factor) e
IGF I e II (Insulin like growth factor I e II), e cioè fattori di crescita osteoinduttivi di derivazione piastrinica, per effetto della degranulazione delle piastrine presenti in loco. Il PDGF
stimola la mitosi delle cellule staminali midollari presenti nell’osso e, in virtù dell’effetto angiogenetico, determina e potenzia la formazione dei nuovi capillari già indotta dall’onda d’urto
nelle sedi di lesione.
Contemporaneamente si assiste ad una proliferazione di fibroblasti e di proosteoblasti per effetto del TGFbeta, che successivamente induce la differenziazione dei proosteoblasti in osteoblasti
stimolandoli a produrre matrice ossea, mentre i fibroblasti depositano la matrice del collagene destinata a sostenere la crescita vasale.
In una fase più avanzata del processo, il rilascio di IGF I e II agisce sugli osteoblasti dell’endostio che iniziano a riempire le trabecole dell’osso spugnoso.
In uno studio molto recente (Martini et al., 2003), è stato dimostrato che l’azione delle O.U. a livello micromolecolare si concretizzerebbe in una variazione della permeabilità di membrana con conseguente apertura dei canali del potassio (canali Ca++dipendenti), indice quest’ultimo di incremento del metabolismo cellulare. Russo, in un recente studio, ha ipotizzato la possibile azione delle onde d'urto a livello microenergetico suggerendo che possano indurre modifiche del livello quantico energetico degli elettroni inducendo un riarrangiamento proteico tridimensionale che indurrebbe l’apertura dei canali ionici (Russo et al., 2003).
Per quanto riguarda l’effetto vascolare sono stati evidenziati due tipi di risposta.
Una, precoce e transitoria, è dovuta all’effetto delle onde d'urto sulle terminazioni nervose simpatiche con conseguente simpaticoplegia che induce l’apertura del letto capillare (effetto
“wash out” degli Autori anglosassoni).
A distanza di alcuni giorni, segue una seconda risposta legata all’incremento del numero dei capillari nel distretto irradiato; secondo le teorie più recenti, tale formazione di vasi capillari si
produrrebbe grazie ad un meccanismo simil fisiologico delle onde d'urto che mimerebbero l’azione dell’E.S.A.F. (Endothelial Stimulating Angiogenetic Factor), un pepetide in grado, se
liberato, di perforare la membrana basale delle strutture vascolari loco-regionali con conseguente fuoriuscita di cellule endoteliali negli spazi interstiziali dove queste cominciano a
proliferare formando nuovi capillari. Ne consegue che la risposta antinfiammatoria, osservabile dopo il trattamento, è sostenuta dall’intenso lavaggio circolatorio tissutale che si viene e
determinare nell’area bersaglio e che causa l’allontanamento delle molecole ad attività chinino ed istamino-simile e della cosiddetta sostanza P presenti nella regione della flogosi.
Per quanto riguarda l’effetto analgesico sono state avanzate diverse teorie:
le onde d'urto modificano l’eccitabilità della membrana cellulare; i nocicettori, non potendo generare così alcun potenziale, impediscono
l’insorgenza del dolore;
le onde d'urto stimolano i nocicettori a generare un’alta quantità di impulsi nervosi che bloccano la trasmissione del segnale ai centri cerebrali, perciò la soglia del dolore s’innalza
(teoria del Gate Control);
le onde d'urto aumentano il livello dei radicali liberi presenti nell’ambiente cellulare e questi generano sostanze inibitorie del dolore.
Studi sperimentali, condotti in questi anni, hanno dimostrato una chiara relazione dose/effetto del microdanno cellulare dove per dose s’intende non solo la potenza delle onde d'urto ma anche il numero totale di colpi applicati. Infatti, la risposta cellulare dose-dipendente varia dal semplice incremento della permeabilità cellulare (Lauer, 1997) per le potenze più basse, alle lesioni del reticolo endoplasmatico e della parete nucleare (Seidl, 1995) e a quelle del citoscheletro fino alla rottura cellulare completa per quelle più elevate (Brummer, 1990; Seidl, 1995; Buch, 1997).
Da quanto detto si può ritenere che gli effetti delle onde d'urto sui tessuti sono strettamente correlati ai dosaggi utilizzati. Se intensità troppo basse possono essere insufficienti a
determinare risposte biologiche significative, queste cominciano a manifestarsi con una precisa gradualità al crescere della potenza e/o del numero dei colpi; secondo il meccanismo biologico che
s’intende evocare per la risposta terapeutica ricercata, il rapporto dose/colpi va attentamente prevalutato, anche in relazione alla problematica dei costi del trattamento che oggi assume una
rilevanza topica.
Una semplice risposta antidolorifica ed antiflogistica può richiedere potenze basse e medie (tra 0,1 e 0,3 mj/mm2) sufficienti a determinare un wash-out della regione trattata ed un incremento
della vascolarizzazione tale da portare ad un più fisiologico metabolismo locale. Quando sono presenti calcificazioni o pseudoartrosi, le potenze richieste sono senz’altro più elevate, ma la
valutazione pretrattamento deve tener conto della sede oltre che le dimensioni delle stesse.
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